domenica 4 aprile 2010

CRAMPI


Gli spritz erano diventati 5 lungo l’arco della serata. Rispetto all’emicrania del pomeriggio le cose avevano preso una piega decisamente più interessante. Il gruppo - una band strepitosa composta da 10 elementi che suonavano jazz, blues, e la parte migliore della musica anni 50 - lo conoscevamo bene. Ad un certo punto il cantante venne a chiamarci sul palco. Sara trovò campo libero, e gli corse dietro. Io invece trovai un ostacolo. Inciampai su uno scalino posizionato nel bel mezzo del nulla eterno, e caddi malamente a terra prima ancora di muovere un passo. Capii subito che era successo qualcosa. Mi si gonfiò come una grossa mela la caviglia destra. Mi dettero del ghiaccio. Non sapevo se ero rotta; ad un certo punto comunque mi ruppi le palle e rimisi lo stivale, riprendendo a ballare. Sara l’avevano messa a cantare. Proprio nel mio momento di gloria -mi disse acida- ti devono capitare queste cose. Fanculo, le risposi garbata. Avevamo un sacco di cose da fare assieme, nei week end di là da venire. Quella caduta poteva compromettere tutto.
Tornai a casa con Marco, e per fortuna ridevo alcolica. Marco mi aveva fatto passare l’emicrania, appena qualche ora prima. Era tornato a casa a prendermi il brufene. Marco mi riportava a casa spiaciutissimo per quello che era successo. Mica era colpa sua, pensavo. Ma non glielo dicevo. Ridevo. E lui era felice che lo facessi. Non so perché, ma lo divertivo parecchio. Mi tolsi gli stivali, e gli dicevo che non puzzavano: sapevano solamente di cuoio. E certo che è così, mi rispondeva lui, rassicurante al contrario mio, e poi non te li puoi mica tenere. Con quello che ti è capitato al piede. Grazie, gli dicevo, grazie. E ridevo come una pazza. Marco mi guardava, era felice di vedermi ridere. Non so perché, ma più io ridevo più mi pareva di vederlo contento. Non era solo una sensazione, cominciavo ad esserne quasi sicura. Un milione di tanti piccoli causa effetto.
Non ero comunque sicura di piacergli. Ero sbronza, confusa. Non mi ci interessava neanche saperlo. Succedeva tutto in maniera così naturale con lui…. Successe anche che ci abbracciammo, e mi baciò con lo stivale in mano. Mi diceva che sapeva di cuoio. E mi baciava. Mi piaceva, non so se per l’alcol o per che cosa. Mi piaceva. Finimmo con il fare l’amore là, davanti a casa mia, con mia sorella che poteva rientrare da un momento all’altro. Non durò molto, per la verità, ma ci venne spontaneo. E quando venni io, urlai per il crampo feroce che lo spasmo aveva fatto scendere alla caviglia contratta e distorta. E forse rotta. Fu un dolore atroce. Non me lo dimenticai mai più. Marco mi guardava, era dispiaciutissimo. Ma aveva anche stampato sul volto il relax tipico della post scopata, con tutta la muscolatura decontratta e stropicciata. Lo guardai, neanche stavolta era colpa sua. Tuttavia scesi dalla macchina baciandolo, con gli stivali in mano, senza di nuovo dire una parola.

Nichilismo


Non è una poesia:
non ci sono versi là sotto,
né rima che scorre.
Non c'è armonia:
è il trionfo del metallo pesante,
della materia d'acciaio
e della ragione.
E' il trionfo del nichilismo:
è l'io che s'arresta, è l’ego che arretra
di fronte alla logica spietata
dei cavi di rame.
Non è una poesia:
le manca il corpo,
le forme sinuose che incantano,
le manca la vita
che scivola addosso,
come vesti leggere e corte
di seta e di raso