giovedì 25 marzo 2010

INTRO


Era una dimensione nuova per me. Non ci avevo mai fatto caso. Non ero felice, quello no, ma almeno ero un poco contenta. Contenta come può esserlo chi acquisisce maggiore consapevolezza nei confronti di sé stesso. Contenta come chi sente di avere una speranza ancora, nonostante i suoi trent’anni suonati.
Avevo potuto portare a casa tanto, da una serata come quella. Sopra ogni altra cosa, la convinzione che i sogni rappresentano una realtà concretizzabile, e non, come avevo pensato fino ad allora, una cosa orribilissima e vergognosa da rifuggire e da tenere nascosta. Per quanto rappresentino da sempre una sorta di marchio di fabbrica, mi sono sempre tanto vergognata dei miei comportamenti troppo estroversi, spesso schizoidi, a volte, purtroppo, incontrollati. Eppure adesso capivo che sarebbe successo sempre, a meno di non imparare a comunicare ciò che mi interessava veramente. E a farlo nella forma che mi era più congeniale. Soltanto allora mi sarei riappacificata con me stessa. E di certo ne avrebbero beneficiato i rapporti interpersonali. Sarebbero diminuite le figuracce.
Mentre pensavo a questo, una strana sensazione di pace mi calava addosso. Sentivo che la realtà mi stava guardando finalmente dalla parte giusta, proprio perché, opposta a quella, la mia prospettiva delle cose ineriva, per l’appunto, alle cose, invece che avere pretese coercitive sopra di esse.
Il desiderio incontrollabile di controllare tutto stava svanendo un poco alla volta.
Inoltre, guardavo a me stessa da me stessa, e non attraverso il giudizio degli altri. E il mio sguardo era, per l’appunto, diretto verso di loro: non stava a fiatare con gli occhi sopra le loro teste.
O quantomeno tentavo per la prima volta (e per la prima volta con sorprendente, caparbia determinazione) di percorrere una strada come quella. Non mi importava più di un sacco di storie.
A ben pensarci, solevo ripetere spesso a mia madre che ogni essere umano può permettersi di spendere gli stessi identici gettoni, per determinare le sue condizioni emotive. Sembrerà banale, e stupido, e ovviamente molto scontato, ma esulando dal suo contesto di riferimento un infelice è tale sia che le sue tasche possiedano molti quattrini sia che non possieda nemmeno le tasche per contenerli, quei quattrini. E’ tutta una questione di equilibrio interiore. Io avevo sempre peccato di furia apparente. Ma c’erano persone che dietro una calma illusoria ed ingannevole nascondevano cicloni bufere e tempeste. E’ tutta una questione di equilibrio interiore. E quello se non ci si tira su le maniche e si inizia a conquistarselo..molto difficilmente lo si troverà per caso, così, inciampando sui pacchi regalo di madre natura.
Di questa come di altre riflessioni cariche di buonsenso era piena la mia testa, sempre in funzione, anche grazie ad un lavorìo continuo, cerebrotico e compulsivo. Solo che spesso tradurre in pratica suddette intuizioni significa essere inseriti in un percorso di vita solido, che si è deciso di far proprio, che abbiamo scelto in mezzo alla giungla degli interrogativi, degli errori, degli schemi familiari, dei se e dei ma. E il mio percorso per la prima volta iniziava davvero a somigliarmi. Solido era tutto fuorché solido, per la verità, ma cominciava sicuramente ad essere mio.
La nostra vita sono le persone che fortunatamente ci circondano. Ed io sapevo bene di non potermi attribuire tutto il merito di quell’inaspettata, improvvisa, bellissima rinascita così carica se Dio vuole degli errori del passato, e tuttavia così piena di promesse per il futuro.

5 commenti:

  1. Stupore e polvere si alza da terra, sotto i miei piedi. Nessuno pensava, me compreso, che sarei arrivato fin qui, un passo oltre dove i concetti finiscono. E fin qui ci sono arrivato perché non provo più ad emulare gli altri. Ho smesso la ricerca di quel tanto agognato equilibrio stabile. Io sono fatto per non avere equilibrio, o meglio, il mio equilibrio vive di precarietà. Come il volo dell'albatro con le sue lunghe ali, che ti domandi sempre come possa restare sospeso nell'aria. Così per me, tutti si sono chiesti come abbia fatto ad arrivare fin dove sono arrivato. E' stato il mio equilibrio precario a portarmi fin qui. Ora so, che grazie a lui, posso arrivare ovunque. Ma qualsiasi meta è un concetto e io li ho tutti superati di un passo. Spetta a loro adesso venirmi a cercare.

    ps. mi piace molto come scrivi.

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  2. .. ogni nostra idea, pensiero, ogni volta che percepiamo coscientemente noi stessi e la realtà che ci circonda stabiliamo in fondo delle mete, mettiamo paletti, poniamo limiti. Anche senza muoverci, ardire, desiderare; senza in fondo troppo pensare. Le mete sono i fili neanche troppo invisibili che ci permettono di rimanere attaccati all'universo mondo, a meno di non riuscire nella strada dell'ascesi totale, atarassica, che da parziale amante del buddismo e delle dottrine orientali mi risulta esser riuscita a pochi (addirittura ad uno solo, secondo i propugnatori della cristianità).
    Equilibrio può anche essere non equilibrio, ma se si tratta comunque di una forma di equilibrio, sempre equilibrio è.
    Diciamo che più generalmente il non equilibrio vero porta a vivere in continua, eterna sofferenza o, che è peggio, insofferenza; chi si trova in questa infelice condizione se ne trova suo malgrado, spesso subendo ciò che capita in una infinita, malsana precarietà di nervi, sviluppando e producendo – che è il peggio – verso l’esterno un comportamento incomprensibile, schizofrenico su più fronti, azzardato e rischioso, e non certo per buona dose di coraggio, ma per idiota incoscienza priva di calcolo.
    Chi sceglie invece la strada meno scontata, meno facile, il volo pericolosissimo dell’albatro, altezzoso, superbo oserei dire per il modo in cui sfida a testa alta la forza di gravità, per dirla come bene l’hai detta tu, compie un atto di volontà, una scelta, per l’appunto.
    Lo sai dove si coglie la differenza? In faccia. E’ scritta in faccia la faccia di uno (perdona la ripetizione ma la trovavo efficace) che nel tempo e maturando “si è letteralmente” preso di forza, per così dire, e piantato al centro del suo universo mondo, non importa quale tipo di mondo sia. Trattasi di persona assolutamente felice, o se si ritiene che la felicità tutto sommato possa anche essere troppo, per questo schifo di mondo, almeno serena.

    Ti ringrazio molto per il complimento, faccio francamente fatica a metterlo in tasca perché non ho mai avuto un rapporto sano con la scrittura; scrivere per me è sempre stata una necessità prima di essere altro, una urgenza di cui non ho mai capito motivo; scrivo da quando neanche sapevo scrivere e non ho mai inteso francamente perché questo fardello sia capitato proprio a me; come scriveva Soren Kierkegaard semplicemente mentre lo faccio mi sento ovattata dal pensiero, e sono felice. Ma non vivendola come un pregio, o un talento; insomma ubbidendo soltanto al comando della penna (o della tastiera) in maniera peraltro piuttosto scocciata non mi sono mai posta il problema del giudizio di valore, né mai mi è passato per la testa espormi, pubblicando, seppure anche solo con un blog, qualcosa di mio. Tutto questo naturalmente prima di incontrare il buon Tommaso, il quale ha una capacità caparbia di scavare la roccia goccia dopo goccia, tanto che mi rimanevano due strade: o cucirgli la bocca, o pubblicare questo blog. Anche se come noti il mio blog non ha niente del classico blog, mi va semplicemente di metterci dentro qualcosa che ho scritto, anche di molto vecchio, ogni tanto. Ogni tanto, giusto per chiudere un po’ la bocca al Tommaso ;-)
    .

    Invece tu scrivi bene. Scrivi in maniera molto pulita e sobria, acuta e sagace circa temi peraltro intelligentemente argomentati di attualità; insomma hai un blog davvero ben fatto!!!

    Beh grazie per il commento a buon rendere!!

    Giorgia

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  3. Risposta concisa con due citazioni che condivido al 100%:

    Scrivere è un modo di parlare senza essere interrotti.
    (Jules Renard)

    Meglio scrivere per se stessi e non avere pubblico, che scrivere per il pubblico e non avere se stessi.
    (Marc Connelly)

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  4. eheh!!! proprio vero!!
    perdona il fiume di parole; come dice il signor T. sono affetta dalla malattia della logorrea - che non è naturalmente riconducibile ad altre parole a lei assonanti :-) -
    buona giornata!!!
    g'

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  5. I fiumi di parole non sono per forza logorrea. Le parole sono i segni di pennello su una tela, se sono funzionali al risultato finale non sono mai di troppo.

    Le tue mi sembrano tutte ben spese.

    Buona domenica.

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